PARLANDO DI PACE A TEHERAN

Quest’articolo fa parte del lavoro di AP in supporto all’implementazione dell’Agenda Giovani, Pace e Sicurezza, come questa è stata definita dalla Risoluzione 2250 (2015) del Consiglio di Sicurezza ONU. Per scoprire di più sul nostro lavoro e leggere gli articoli già pubblicati, visita questa pagina.

Questo articolo parla di un progetto del Tehran Peace Museum (TPM), che si chiama “Parliamo di Pace” (“Talk for Peace“). TPM è un’organizzazione non governativa con sede nella capitale dell’Iran. L’idea di creare un’organizzazione come TPM è stata proposta dalla Società delle Vittime di Armi Chimiche (Society for Chemical Weapons Victims, o SCWVS) nel 2005 dopo una conversazione con la Rete Internazionale dei Musei della Pace (International Network of Museums for Peace, o INMP), di cui TPM è ora membro. Alcuni membri di SCWVS avevano recentemente visitato il Museo della Pace di Hiroshima, dove “La sofferenza delle armi atomiche si era stata convertita fortemente in un impulso per la pace” e per questo ha quindi deciso di sostenere  la creazione di una simila struttura anche a Teheran.

TPM punta a sottolineare il lato oscuro della guerra, per incoraggiare invece la pace. La narrativa principale che TPM comunica riguarda l’uso diffuso di armi chimiche durante la guerra tra Iran e Iraq, ma anche in altri paesi e guerre. Quando i visitatori arrivano al TPM, ricevono un tour da una persona che è stata vittima di armi chimiche, e quindi finiscono per avere un’esperienza diretta delle conseguenze della guerra e, in particolare, sull’uso delle armi chimiche. Il progetto di storia orale di TPM ha anche cercato di raccogliere in un unico posto le storie di queste vittime.

Mentre la narrazione di TPM si concentra principalmente sull’idea della pace negativa, che è definita semplicemente come l’assenza di violenza, tutti gli altri progetti e attività del Museo riflettono e vogliono comunicare l’idea di pace positiva, ovvero in cui le istituzioni sono solidali e la società giusta. Una delle migliori qualità di TPM è che i volontari possono iscriversi a progetti esistenti o creare i propri, come hanno infatti deciso di fare diversi volontari. “Talk for Peace” è uno di questi progetti indipendenti, istituito nel 2012 da un volontario del TPM, il dott. Mahmoud Sedigh.

L’idea per il progetto era di creare un gruppo di discussione, uno spazio sicuro per tutti coloro che sono interessati alla pace, e all’opportunità sia di parlare sia di ascoltare. Le sessioni hanno luogo in inglese e non nella lingua ufficiale dell’Iran, il persiano. Il motivo di questa scelta è duplice: in primo luogo, coll’inglese si crea un ambiente più accessibile, in quanto permette ai membri internazionali di TPM di partecipare alle sessioni; e in secondo luogo, si offre un ulteriore incentivo per i partecipanti iraniani vogliono praticare l’inglese. Chi è interessato a far parte delle sessioni iscrive per email o riceve una notifica tramite social media. Le sessioni hanno un moderatore che di solito fornisce una breve descrizione sull’argomento, e poi inizia e facilita le conversazioni.

TPM ha una vasta rete di volontari e molti di loro hanno partecipato a queste sessioni. Attraverso i social media il Museo ha anche cercato di promuovere la partecipazione dei giovani. A prima vista potrebbe sembrare un’iniziativa molto semplice, ma riunire la gente, soprattutto i giovani, in uno spazio sicuro dove si può parlare liberamente di argomenti relativi alla pace, di favorire il pensiero critico, e coinvolgere la gente non è affatto facile. Discutendo su questi concetti, i giovani riescono a capire che ruolo possono avere nella costruzione della pace, e anche altri progetti promossi da TPM. In ogni caso, i partecipanti sono entusiasti delle idee e delle conversazioni a cui partecipano, e sono felici di parlare di quanto sono rimasti colpiti dall’esperienza ogni volta che tornano al Museo.

Io sono entrata in TPM come volontaria circa cinque anni fa. Inizialmente ero andata a una conferenza tenuta dal professor Jan Oberg, a cui è seguita una sessione di “Talk for Peace”. Questa è stata la mia prima esperienza col progetto e mi è piaciuto molto, perché le discussioni e i punti sollevati erano stati stimolanti. Successivamente, sono entrata a far parte di TPM e ho partecipato anche ad altri progetti. Ciononostante, in tutte le mie esperienze, “Talk for Peace” è ancora uno dei miei progetti preferiti, e dopo un anno sono diventata uno dei moderatori delle sessioni.

Gli argomenti mi hanno influenzato così tanto che la maggior parte della ricerca che conduco per  il mio dottorato riguardano la pace; ora sto anche scrivendo la mia tesi su questo argomento. Il motivo per cui sono stata coinvolta così tanto con TPM (e che sono tuttora ancora coinvolta) è principalmente perché volevo fare la differenza e TPM mi ha fornito un’opportunità per fare questo. Non sto dicendo che è posto perfetto, ma posso dire che è un rifugio sicuro, soprattutto quando si “parla di pace.”

In generale, iniziative come “Let’s Talk Peace” di TPM hanno i seguenti vantaggi:

  1. Quando si lavora con i giovani o si cerca di attivare i giovani sul tema della pace, è fondamentale che essi possano pensare liberamente e che abbiano uno spazio sicuro per condividere le loro idee. È grazie a questi elementi infatti che riescono a far propria l’idea della pace.
  2. Portando insieme e facendo riunire giovani che hanno preoccupazioni simili, mostriamo loro che non sono soli. Così possono unirsi e aumentare la loro capacità per promuovere il cambiamento.
  3. L’altro principio importante è il processo stesso. Come ha detto Johan Galtung, non possiamo parlare di peacebuilding senza considerare i mezzi che stiamo usando per diffondere il messaggio. Nell’educazione alla pace, l’approccio incentrato  sul processo è della massima importanza, e il dialogo è uno dei mezzi che possiamo usare perché il successo di quest’ultimo è legato al parlare come attività, non a qualche risultato concreto. 
  4. Una parte del dialogare è sapersi ascoltare, ed è questo “Talk for Peace,” che permette ai partecipanti di sentire diversi punti di vista ed anche di esprimere il proprio in modo pacifico.

Questa iniziativa, insieme agli altri progetti di TPM, ha permesso di coinvolgere molti giovani, e di allargare la famiglia di TPM. I volontari e i visitatori potrebbero infatti andarsene, anche lasciare il paese, ma grazie al progetto saranno sempre ambasciatori della pace, con molti che lavoreranno o si offriranno volontari su iniziative simile. Quindi, parliamo della pace.

Yalda Khosravi è dottoranda in diritto internazionale pubblico presso la Allameh Tabataba’i University (ATU), a Teheran. Lavora come Project Manager per il Dipartimento dell’Istruzione al Tehran Peace Museum (TPM), ed è una facilitatrice, formatrice e ricercatrice nel campo dell’educazione alla  pace, dei diritti umani e degli studi sulla pace.