LA SOCIETÀ CIVILE COME MOTORE DI STABILITÀ E DI CRESCITA IN AFRICA
Quando si parla di stabilità e crescita in Africa quello che si ha in mente è ormai sempre più spesso il ruolo giocato dallo stato e dal settore privato. L’enfasi sullo stato non è nuova, anche se recentemente ha assunto toni diversi. Secondo il modello di sviluppo neo-liberale, infatti, il nesso tra stabilità e crescita economica è rappresentato dalle istituzioni dello stato: dove queste sono deboli e incapaci di provvedere alle necessità dei propri cittadini, un paese non potrà che essere instabile e l’instabilità impedirà la crescita economica sostenibile. È per questo che dalla fine degli anni novanta i paesi donatori destinano ai governi africani la maggior parte dei finanziamenti per lo sviluppo sostenibile—regolarmente ignorando, tuttavia, gli aspetti negativi di suddetti governi, che sono spesso afflitti da corruzione e incompetenza, e perpetuano dinamiche di conflitto che, regolarmente, portano alla violenza.
L’attenzione al settore privato è invece relativamente nuova ma adesso molto in voga, tanto che la maggior parte dei governi occidentali ha ormai dato priorità, all’interno dei propri programmi di cooperazione bilaterale, al sostegno di attori privati for profit e delle imprese. Basti pensare alla comunicazione della Commissione Europea del 2014, intitolata “Un ruolo più forte per il settore privato nel raggiungimento di una crescita inclusiva e sostenibile nei paesi in via di sviluppo”, che è poi stata usata come base per definire quasi tutte le strategie di cooperazione bilaterale nei confronti dei singoli paesi africani. La stessa Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo (AICS) ha lanciato, quest’anno, il primo bando per il settore for profit, in quanto nuovo strumento per la cooperazione. Questa preferenza per le imprese può essere attribuita a due fattori: da una parte il riconoscimento che i governi non sono sempre un partner affidabile; e dall’altra l’ipotesi (tutt’altro che comprovata) che, siccome i paesi economicamente performanti tendono a essere anche stabili, investire in chi crea valore economico è quindi il modo più sicuro per generare stabilità sociale e politica.
In questo nuovo paradigma, in cui lo stato e il settore privato for profit arrivano a beneficiare di sempre maggiori finanziamenti allo sviluppo, una realtà che rimane marginale, se non completamente esclusa, è la società civile. Questo è un errore con potenzialmente gravi conseguenze per gli obiettivi di stabilità e crescita che sono ormai condivisi dai governi dell’Europa e dell’Africa.
Il settore della società civile in Africa è, infatti, enorme ed estremamente importante, cosa che è raramente riconosciuta. In Kenya, per esempio, ci sono decide di migliaia di organizzazioni della società civile, e il settore no-profit keniano è estremamente diversificato. Come AP ha potuto costatare direttamente l’anno scorso, esso include organizzazioni sia formali sia informali che lavorano in tutti i settori (dalla promozione dei diritti umani e civili alla sanità pubblica, passando per la finanza, l’agricoltura e la tecnologia) e che rappresentano tutti i gruppi demografici del paese: donne, giovani, musulmani, cristiani, agricoltori, poveri, disabili e rifugiati. La società civile, in Kenya come nel resto dell’Africa, gioca un ruolo critico per il benessere sociale ed economico del paese, ma nonostante questo, quando si parla di stabilità e di crescita, essa è sempre messa in secondo piano.
Con quest’articolo, AP vuole offrire quattro ragioni per cercare di far cambiare prospettiva e convincere donatori, sia governativi sia privati, a investire nella società civile africana come vero e proprio motore di stabilità e crescita nel continente:
- Le organizzazioni della società civile (OSC) possiedono forse le conoscenze più approfondite del contesto politico e sociale in cui vive la gente, incluso i rischi e le opportunità per promuovere la stabilità e la crescita economica. Coinvolgere le OSC in Africa, ancor più che i governi o le imprese, risulta in questo modo il modo migliore per accedere a delle informazioni, relative a dinamiche e realtà locali invece che nazionali, che altrimenti non sarebbero a disposizione di chi opera in Europa.
- Chi lavora nel settore della società civile africana possiede spesso competenze di molto superiori a chi lavora per istituzioni pubbliche o imprese private. Per illustrare questo punto basti pensare a come i finanziamenti per lo sviluppo vengono erogati: nel caso dei governi dei paesi riceventi, i finanziamenti arrivano colla logica di rafforzare capacità altrimenti inesistenti di funzionari; nel caso della società civile, essi arrivano (spesso) solo dopo la prova di capacità preesistenti e consolidate.
- Nella maggior parte dei paesi africani, le OSC sono spesso le uniche realtà capaci di mobilitare e informare la cittadinanza. Si pensi al ruolo che le radio comunitarie giocano in tanti paesi dell’Africa sub-sahariana, come per esempio nella Repubblica Democratica del Congo, nel disseminare informazioni di utilità pubblica. Eppure queste radio non operano per conto del governo, né seguono una logica di profitto: esse sono, e possono solo essere capite, come parte integrante della società civile.
- Infine, la società civile è singolarmente capace di promuovere il dialogo e la riconciliazione. In particolare, in paesi afflitti da conflitto armato e violenza (basti pensare al Sudan del Sud, alla Libia, alla Somalia, ma anche al Kenya e alla Nigeria), le OSC sono spesso l’unica forza capace di generare capitale sociale e ristabilire i rapporti di fiducia reciproca necessari per avere stabilità e quindi per creare le basi di un’attività economica reciproca e realmente inclusiva.
Per tutte queste ragioni, sarebbe opportuno riconsiderare il settore della società civile in Africa, da marginale e di utilità principalmente simbolica (ovvero rappresentativo di valori democratici) a centrale per la crescita ed essenziale per avere good governance e, in paesi dove il conflitto e la violenza sono all’ordine del giorno, per costruire una pace duratura.
L’articolo raccoglie i punti principali dell’intervento fatto da Bernardo Monzani, presidente di AP, nel corso della conferenza “L’Africa per l’Africa”, tenutasi nel febbraio 2017 a Roma. La conferenza è stata organizzata da TAB Associazione colla partecipazione della Fondazione per la Collaborazione dei Popoli.
Il murale nella foto raffigura Wangari Maathai, l’attivista politica, ambientalista e biologa keniota, vincitrice del Premio Nobel per la Pace nel 2004.