Immaginazione: la chiave per il peacebuilding

Il 4 maggio 2022, ho avuto l’opportunità di partecipare a un forum organizzato da Agency for Peacebuilding dal titolo “Re-imagining conflict prevention”. L’evento è stato un’ottima occasione per condividere qualche riflessione a partire dalla mia decennale esperienza nella mediazione dei conflitti e nel peacebuilding.

Non è necessario eliminare i conflitti

Culturalmente ci siamo abituati a considerare i conflitti come qualcosa di negativo perché li colleghiamo a una delle loro potenziali conseguenze: la violenza. Tuttavia, i conflitti non sono né positivi né negativi; sono un elemento neutro dell’esistenza umana. In qualsiasi interazione, ci sarà una tensione tra interessi individuali e collettivi, che non porterà necessariamente alla violenza. Inoltre, la vita è costituita da una serie di cambiamenti naturali. Questa costante variazione di equilibrio ci costringe a mantenere un dialogo con le persone che ci circondano per tutta la vita. Il problema principale nel considerare i conflitti come qualcosa di negativo è che, in molti casi, tendiamo a ignorarli per evitare situazioni ed emozioni spiacevoli. Però i conflitti continueranno a crescere se li ignoriamo; questo è il vero pericolo che può aumentare il rischio di violenza. Il primo passo per prevenire la guerra è cambiare il nostro modo di vedere i conflitti giorno per giorno. Dobbiamo vedere il conflitto come una circostanza neutra che, se utilizzata nel modo giusto, può generare cambiamenti positivi, innovazione e sviluppo. Se il conflitto è neutro, non è qualcosa che dobbiamo prevenire o eliminare. Dobbiamo occuparcene fin dall’inizio e dare spazio a un dialogo costruttivo. Lo sforzo di eliminare un conflitto potrebbe addirittura ostacolare l’opportunità di generare i cambiamenti necessari (Lederach, 2013). Ciò che dobbiamo prevenire è la violenza in tutte le sue forme.

La pace va costruita in tempi di pace

Il conflitto che si è scatenato in Ucraina ci insegna che la guerra è un rischio presente in tutte le parti del mondo; tuttavia, non bisogna aspettare che si manifesti la violenza per cercare la pace. Questo è il problema principale della prevenzione dei conflitti: aspettare che il conflitto diventi violento per iniziare a lavorarci (che è una conseguenza diretta del punto precedente sul considerare il conflitto come qualcosa di negativo). Il rinvio della risoluzione dei conflitti avviene sia a livello globale che individuale. Nella mia esperienza, ho notato che di solito le persone si rivolgono a un mediatore solo quando il disaccordo diventa insopportabile: questa mentalità riduce le possibilità di successo in qualsiasi strategia di mediazione. Allo stesso modo, molte politiche pubbliche non affrontano i conflitti finché non arrivano davanti a un giudice e, ancora una volta, si perde l’opportunità di lavorare su di essi al momento giusto. Lo stesso vale per i conflitti armati.

Lund

La premessa, quindi, è quasi ovvia ma molto semplice: è necessario costruire la pace in tempi pacifici, quando le persone sono ancora in grado di controllare le proprie emozioni e facoltà razionali. Non c’è motivo di aspettare.

Pace olistica

Esiste un dibattito sul modo ideale di costruire la pace. In psicologia, molti operatori ritengono che il punto di partenza debba essere la mente degli esseri umani. Anche il preambolo della costituzione dell’UNESCO afferma che: “Poiché le guerre iniziano nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”. D’altra parte, molti governi e organizzazioni internazionali concentrano il loro lavoro sugli elementi strutturali della violenza, cercando di ridurre le disuguaglianze, la mancanza di opportunità di lavoro e il divario salariale tra uomini e donne, tra i tanti. Qual è l’approccio corretto? Sono semplicemente due facce della stessa medaglia; una è impossibile senza l’altra. John Paul Lederach lo ha definito un paradosso della costruzione della pace, perché i cambiamenti strutturali sono inutili se le percezioni reciproche tra i membri della comunità non sono sane e se esistono modelli di comportamento violento. È altrettanto inefficace lavorare sulle menti degli esseri umani se questi sono emotivamente colpiti da elementi economici, sociali e culturali che non permettono loro di godere di una vita pacifica. In questo senso, la raccomandazione è di considerare i processi di costruzione della pace da una prospettiva olistica che comprenda gli elementi strutturali basati sulle percezioni e sulle azioni individuali.

L’immaginazione è la chiave

Infine, vorrei sottolineare uno degli elementi che ha attirato la mia attenzione sul forum: il suo nome. Il titolo del forum non sostiene la necessità di riformare i meccanismi di prevenzione dei conflitti, ma invita a re-immaginare il modo in cui lo facciamo. L’immaginazione è l’elemento critico. Nel nostro contesto attuale, in cui i rischi di escalation dei conflitti globali sono in aumento, dobbiamo ricorrere ai nostri strumenti intellettuali e andare oltre l’uso di una serie di tecniche già conosciute. L’immaginazione ci permette di percepire la realtà in modo diverso; ci aiuta a visualizzare più chiaramente le interconnessioni esistenti tra tutti gli esseri umani, al di là del fatto che li consideriamo alleati o nemici. L’immaginazione ci permette di riconoscere che le cose non sono semplicemente buone o cattive, ma piuttosto uno spettro di sfumature in cui la complessità è anche un’opportunità per lavorare sui conflitti da un’angolazione diversa (Lederach, 2005). Immaginazione non è sinonimo di fantasia. L’immaginazione implica una profonda comprensione della storia e dell’attualità come requisito per creare qualcosa di diverso. Suggerisce di mantenere la curiosità latente per dare spazio ad atti creativi che possono mostrarci un nuovo approccio alla percezione della realtà e, in ultima analisi, un modo di comportarci. Il requisito per far funzionare l’immaginazione è la conoscenza di sé. Il lavoro interiore individuale è essenziale per riconoscere la nostra paura, perché la paura è l’ostacolo principale all’atto creativo. Oggi più che mai abbiamo bisogno dell’immaginazione per costruire modelli globali che ci permettano di prevenire la violenza in tutto il mondo e di progettare nuovi meccanismi che affrontino gli elementi strutturali e psicologici alla base delle crisi climatiche e alimentari in tutto il pianeta. La sfida che stiamo affrontando è un’opportunità per innovare e creare nuovi modelli che affrontino la violenza da una prospettiva strutturale e psicologica. Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo agire prima che i conflitti si intensifichino. Il nostro strumento principale per costruire un paradigma diverso è la nostra immaginazione che, basandosi sui fatti, può raffigurare un modo più empatico di coesistere.

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Bibliografia: Lederach, J.P. (2005) The moral imagination; Lederach, J.P. (2013) The little book of conflict transformation.

Juan Lucero è il co-fondatore di Magnolia e Policy Fellow presso School of Transnational Governance (EUI).