NUOVO PIANO D’AZIONE NAZIONALE ITALIANO SU DONNE, PACE E SICUREZZA: PUNTI DI FORZA E LIMITI

A dicembre 2016, è stato adottato il terzo Piano d’Azione Nazionale (PAN) italiano su Donne, Pace e Sicurezza 2016-2019. L’adozione del PAN, che si colloca nel solco già tracciato dai due precedenti piani, è stato bene accolto dalla società civile e rappresenta il continuo e rinnovato impegno dell’Italia per la messa in opera della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1325 (2000) e successive risoluzioni. Le novità del PAN, che riprende nella struttura e negli obiettivi le precedenti versioni, sono molteplici e positive.

I punti di forza

Innanzitutto, lo sviluppo del piano ha visto anche il coinvolgimento attivo di numerosi attori della società civile, già attiva su questioni di donne, pace e sicurezza, organizzati nella Piattaforma Genere Interventi e Processi di Pace (GIPP)[1] di recente istituzione. Le consultazioni, che si sono tenute tra luglio e novembre 2016, hanno consentito un dialogo costruttivo su elementi chiave del piano ed hanno avuto come esito l’accoglimento di alcune sostanziali proposte di modifica del testo presentate dalla Piattaforma al Comitato Interministeriale per i Diritti Umani (CIDU) del Ministero degli Esteri, responsabile per la redazione del documento.

In particolare, il riferimento alle donne quali agenti di cambiamento e al potere trasformativo della risoluzione UNSCR 1325 è stato fortemente voluto dalla società civile. Come infatti più volte sottolineato nel corso delle consultazioni, la UNSCR 1325 non mira solo a promuovere una maggiore partecipazione delle donne nelle istituzioni preposte al mantenimento della pace e nei processi di pace, ma a contribuire a una trasformazione di tali istituzioni e delle modalità di risoluzione dei conflitti in un’ottica non-violenta e inclusiva.

In più, il PAN per la prima volta avrà un budget dedicato alla sua messa in opera grazie ad un emendamento presentato alla Legge di Bilancio 2017 dalla Deputata Socialista Pia Locatelli. Grazie a questo intervento sono stati infatti stanziati due milioni di euro (un milione per il primo anno e un milione per i due anni successivi).

Infine, il nuovo PAN valorizza un approccio integrato delle varie iniziative governative in questo ambito compresa la politica estera, la cooperazione allo sviluppo, la sicurezza e la difesa. A questo si aggiunge l’impegno a coinvolgere i vari stakeholder istituzionali e attori non-governativi, in particolare società civile e accademia, nella messa in opera del piano.

I limiti

Tra le debolezze dell’attuale PAN, vi è la mancanza un approccio solido legato al peacebuilding, settore di riferimento per le politiche di genere, pace e sicurezza. L’approccio integrato di cui sopra, in mancanza di chiarezza concettuale sui confini del peacebuilding e sulla sua natura, rischia di indebolire l’impianto di questa politica collocandola a cavallo tra molte (la cooperazione allo sviluppo, i diritti umani, la sicurezza e difesa). Invece, l’agenda di donne pace e sicurezza è fortemente radicata nel concetto di peacebuilding che ha per definizione lo scopo di gestire, ridurre, risolvere, trasformare aspetti dei conflitti tramite la diplomazia, la mediazione e il dialogo a molti livelli e con il coinvolgimento della società civile. L’obiettivo ultimo è quello di risolvere le cause radice dei conflitti in maniera non-violenta, promuovere la riconciliazione ed evitare un ritorno alla violenza.

Inoltre, il PAN come i precedenti piani, pone un’attenzione sproporzionata sulle operazioni militari e sulla formazione delle forze armate, mentre manca qualunque riferimento alle missioni civili a cui l’Italia partecipa (incluse le missioni CSDP sotto l’egida dell’UE molte delle quali sono civili e che svolgono funzioni di peacebuilding come la riforma del settore della sicurezza, monitoraggio di cessate il fuoco, controllo dei confini) e alla formazione dei civili sul peacebuilding e sulle questioni di donne, pace e sicurezza. L’unico riferimento ad approcci alternativi e non-violenti è incluso nell’Obiettivo 2 Azione 5 che prevede il coinvolgimento del Tavolo Interventi Civili di Pace per l’integrazione di una prospettiva di genere nelle missioni di pace.

Nonostante il focus sulle donne quali agenti di cambiamento, non è chiaro poi come il piano intenda sostenere le donne che promuovo approccia alternativi per il raggiungimento della pace in contesti di conflitto. L’obiettivo n. 1 sul rafforzamento del ruolo delle donne nei processi di pace, non fornisce alcuna indicazione specifica su cosa il governo italiano intenda fare in pratica per sostenere il ruolo delle donne come portatrici di cambiamento nei processi di pace, sul come e sul dove. Per rendere l’impegno concreto e realizzabile, gli attori italiani dovrebbero rispondere alle seguenti questioni:

  • In che modo l’Italia intende sostenere il ruolo delle donne come agenti di cambiamento nei contesti di conflitto?
  • Con quali strumenti?
  • In quali paesi / conflitti può l’Italia avere un valore aggiunto?
  • Quali capacità delle donne / organizzazioni di donne si intendono rafforzare? Per esempio, la capacità di fare advocacy sulla pace, di creare delle coalizioni attorno a temi di comune interesse, di formare giovani donne sul peacebuilding, di rafforzare le proprie capacità di negoziazione e mediazione?
  • Quali risultati intende ottenere l’Italia con tali azioni?

Infine, non è chiaro quale sarà il ruolo della società civile nella messa in opera del piano. L’Obiettivo n. 6 (Accrescere le sinergie con la società civile per implementare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1325) include azioni che offrono pochi spunti per capire in che modo le istituzioni italiane intendano cooperare con la società civile per il raggiungimento degli scopi del PAN. Il Piano dovrebbe fornire l’occasione per 1) rafforzare il dialogo tra istituzioni italiane e società civile su tutti gli aspetti dell’agenda donne, pace e sicurezza; 2) sostenere la società civile italiana che si occupa di formazione su genere, pace e sicurezza per studenti, istituzioni e operatori del settore e 3) finanziare ONG italiane presenti in zone di conflitto e con esperienza nel peacebuilding per progetti specifici su, ad esempio, la partecipazione delle donne nei processi di pace formali ed informali, la prevenzione ed eliminazione della violenza sessuale nelle zone di conflitto, lo sviluppo di sistemi di allerta precoce che includano una dimensione di genere.

 

[1] Alla Piattaforma partecipano le seguenti organizzazioni: Centro Studi Difesa Civile, Pangea ONLUS, WILPF Italia, Agenzia per il Peacebuilding, Movimento Nonviolento, Punti di Vista, Differenza Donna, Un Ponte per…, A Sud ed alcune esperte indipendenti.