IL PEACEBUILDING COME CONTRASTO ALL’ESTREMISMO VIOLENTO: LEZIONI DAL KENYA E DALLA TANZANIA

Molte ONG provenienti dal mondo della cooperazione allo sviluppo e del peacebuilding lavorano oggi nella prevenzione e contrasto dell’estremismo violento (prevent and counter violent extremism, o P/CVE). Tra queste c’è Search for Common Ground (Search), un’ONG internazionale che ha, nel corso degli anni, sviluppato un suo approccio specifico, focalizzato sulla trasformazione dell’estremismo violento (Transforming Violent Extremism, o TVE). Ma è possibile verificare che un approccio basato sul peacebuilding risponda in modo efficace all’estremismo violento?

Nell’ultimo anno, AP ha completato le valutazioni di tre progetti che Search ha realizzato in Kenya e Tanzania, e queste hanno identificato diverse lezioni che possono risultare interessanti per tutte le organizzazioni che si occupano di P/CVE.

Kenya e Tanzania sono paesi che hanno vissuto una recente crescita del fenomeno dell’estremismo violento e del terrorismo. Tra i due, il Kenya è il paese più colpito, con vari gravi attacchi subiti negli ultimi 10 anni; in Tanzania, invece, il fenomeno è più recente e localizzato. Malgrado queste differenze, le forze che alimentano l’estremismo violento nei due paesi sono simili e legate a fattori interni ed esterni.

Fattori esterni comprendono la formazione di gruppi jihadisti, principalmente Al-Shabaab in Somalia, che è riuscito a far leva su insoddisfazioni locali per ispirare attacchi terroristici anche in altri paesi della regione. Fattori interni includono ingiustizie sociali, politiche e religiose, le quali, combinate alla propaganda terroristica, hanno portato alla formazioni di gruppi che hanno adottato mezzi violenti per cercare di cambiare le proprie condizioni. Un ultimo fattore che determina la crescita dell’estremismo violento è il ruolo dei governi: sia il Kenya che la Tanzania hanno infatti adottato mezzi coercitivi e incentrati sulla sicurezza che hanno esacerbato le percezioni di discriminazione da parte di diversi segmenti della popolazione. Un elemento in controtendenza, al riguardo, è stata l’adozione da parte della autorità keniote della Strategia nazionale per combattere l’estremismo violento (National Strategy to Counter Violent Extremism, o NSCVE), che ha introdotto un approccio più inclusivo nelle attività di P/CVE.

È questo il contesto nel quale Search ha testato il suo nuovo approccio, che propone un nuovo metodo di coinvolgimento delle persone e di lavoro sulla giustizia sociale. L’approccio TVE si base su quattro elementi portanti:

  • La prevenzione, che riguarda la partecipazione delle comunità e la loro capacità di usare strumenti non-violenti per affrontare le ingiustizie;
  • Il disimpegno, per sostenere le persone che scelgono la non-violenza;
  • Le risposte statali, per assistere i governi a lavorare con efficacia con altri gruppi sociali; e
  • Le narrazioni credibili e costruttive, che incoraggino l’uso di approcci non-violenti e percorsi alternativi alla violenza.

In linea con l’approccio TVE, l’attività principale in tutti e tre i progetti è stata la promozione del dialogo a livello comunitario, in diverse località: quattro contee nella regione costiera del Kenya (Kilifi, Kwale, Lamu e Mombasa) e Dar-es-Salaam, Zanzibar, Arusha e la regione di Tanga in Tanzania. Questi dialoghi sono stati organizzati sia all’interno delle comunità sia tra queste e le autorità locali. Tutti i progetti hanno anche incluso l’uso dei media e della tecnologia: in Kenya, per esempio, una piattaforma basata su Whatsapp è stata creata per permettere lo scambio d’informazioni tra comunità e polizia; in Tanzania, Search ha prodotto e mandato in onda un talk-show radiofonico.

Le valutazioni, che sono state completate nel 2018 e l’inizio del 2019, sono state un’opportunità per rispondere a delle domande chiave sull’impatto dell’approccio TVE usato da Search, e hanno evidenziato quattro importati insegnamenti.

La prima lezione è che i dialoghi a livello comunitario, per avere successo, devono essere realizzati in varie fasi, il cui scopo finale è far riunire gruppi in conflitto tra di loro. In una prima fase, è necessario che questi gruppi si ritrovino separatamente, per discutere delle proprie preoccupazioni e prepararsi a incontrare come i loro avversari; solo a quel punto si può pensare di organizzare dialoghi che portino all’identificazione di soluzioni condivise. Le valutazioni hanno scoperto che è dove quest’approccio è stato adottato (per esempio nella contea di Lamu in Kenya e nella regione di Tanga in Tanzania) che i progetti hanno avuto un impatto maggiore.

La seconda lezione è che per arrivare a un impatto positivo è necessario lavorare con organizzazioni radicate sul territorio. Le valutazioni hanno trovato che le comunità tendono a fidarsi di queste organizzazioni molto di più di quanto si fidino di realtà che provengono dall’esterno. In più, queste organizzazioni spesso lavorano già con gruppi di persone tra i più vulnerabili alla manipolazione da parte di gruppi estremisti, e sono quindi idealmente posizionate per dare loro una voce.

La terza è che la tecnologia può aiutare a contrastare l’estremismo violento, ma solo quando l’approccio e il tipo di tecnologia sono appropriati al contesto locale. Gli esempi migliori, sotto quest’aspetto, sono nati dove Search è riuscita a lavorare con rappresentanti delle comunità. Nella contea di Lamu, in Kenya, il progetto ha per esempio portato all’introduzione di una smartcard per pescatori locali, agevolando la loro identificazione da parte della polizia, e questo ha a sua volta portato alla rimozione di un divieto di pesca notturna che da anni creava tensioni tra comunità e governo. In Arusha, in Tanzania, i partecipanti hanno suggerito la creazione di un gruppo Whatsapp per tenersi in contatto e condividere informazioni: il gruppo è ancora attivo.

Per ultimo, l’impatto dell’approccio TVE dipende in modo significativo dal contesto nazionale e dall’atteggiamento delle autorità. Per essere efficaci, le ONG hanno bisogno di un ambiente favorevole, che includa una strategia per contrastare l’estremismo violento. Sotto quest’aspetto, le attività di Search in Kenya hanno avuto l’impatto maggiore per le comunità, in gran parte per via della NSCVE, la strategia nazionale, che ha creato una piattaforma per il coordinamento tra tutti i portatori d’interesse. In Tanzania, dove il governo non ha ancora adottato una politica nazionale su P/CVE, Search ha incontrato molte più difficoltà.

In conclusione, l’approccio TVE adottato da Search ha dimostrato di poter generare un impatto positivo. L’attenzione alle diverse fasi di dialogo e alla partecipazione di organizzazioni radicate sul territorio devono essere visti come elementi essenziali per tutti i programmi mirati a contrastare l’estremismo violento, in Africa orientale così come in altri paesi dove il radicalismo è un problema. Tuttavia, per avere successo è anche importante lavorare sulle politiche nazionali, per assicurarsi che i cambiamenti promossi, una volta raggiunti, siano veramente sostenibili.

La valutazione finale per il progetto in Kenya, intitolato “Inuka! A Community-led Approach to Violent Extremism in Kenya” è accessibile qui. La valutazione finale dei due progetti in Tanzania, intitolati “Katika Usalama Tunategemeana: A Community-Owned Approach to Promoting Moderate Voices in Tanga” e “Pamoja! Strengthening Community Resilience” è accessibile qui.