USARE VOCI POSITIVE PER CONTRASTARE LA RADICALIZZAZIONE DELLA GIOVENTÙ IN NIGERIA

Quest’articolo fa parte del lavoro di AP in supporto all’implementazione dell’Agenda Giovani, Pace e Sicurezza, come questa è stata definita dalla Risoluzione 2250 (2015) del Consiglio di Sicurezza ONU. Per scoprire di più sul nostro lavoro e leggere gli articoli già pubblicati, visita questa pagina.

Negli ultimi dieci anni, la Nigeria ha dovuto combattere l’intolleranza religiosa, l’estremismo violento e la radicalizzazione dei giovani. Questi fenomeni sono stati in gran parte alimentati dai messaggi diffusi, in modo sempre più rapido, sulle identità etno-religiose, che hanno fatto leva sulle percezioni di torti politici e socio-economici, sentite in tutto il paese. La situazione ha aumentato la fragilità e la vulnerabilità dei giovani, i quali gravitano sempre più verso i messaggi d’individui o gruppi radicali e violenti.

È in questo contesto che MicroDevelopment Consulting ha sviluppato e lanciato il progetto Positive Voices (Voci Positive), nel 2015. In collaborazione con l’Ufficio del Consigliere nazionale per la sicurezza (National Security Adviser) e il Programma per la stabilità e la riconciliazione della Nigeria (Nigeria Stability and Reconciliation Programme, o NSRP), il progetto ha voluto utilizzare un approccio innovativo per arrivare a coinvolgere giovani e tenerli lontani dalla violenza.

Uno studio condotto dal NSRP nel 2012 aveva infatti rilevato come la radicalizzazione ddei giovani stesse diventando un problema crescente, in particolare nel Nord-est del paese, dove il gruppo terroristico Boko Haram era da tempo attivo. Nel 2015, l’estremismo violento era diventato un problema di sicurezza per il 72% dei nigeriani, secondo il Pew Research Center. A cominciare dal 2009, Boko Haram aveva, infatti, effettuato una serie di attacchi contro le forze di sicurezza e le comunità. Nell’agosto 2011, 23 persone furono uccise da un’autobomba al di fuori del quartier generale delle Nazioni Unite, mentre 276 studentesse vennero rapite nell’aprile 2014. Inoltre, il sistema di gestione dei conflitti e di allerta preventiva (early warning) si basava su un complesso e sovrapposto insieme di agenzie, poco coordinate tra di loro, senza direzione strategica, e che erano troppo poco inclusive o trasparenti, impedendo la cooperazione tra attori statali e non. Di conseguenza, le agenzie governative e le forze di sicurezza spesso trascuravano misure preventive, cosa che aveva portato a risposte sproporzionate e incapaci d’identificare e affrontare le cause profonde dell’estremismo violento nel paese.

Il progetto Positive Voices, che è stato implementato in sei stati della Nigeria, è stato realizzato con tre obiettivi, separati ma correlati:

  1. Costruire la capacità di giovani leader in modo da farli diventare modelli di comportamento positivi (Positive Voices, o PV) capaci di contrastare, nelle loro comunità, la propaganda negativa e i messaggi di radicalizzazione;
  2. Sostenere la progettazione d’iniziative di coinvolgimento delle comunità (Community Engagement Initiatives, o CEI) come veicoli per facilitare la tolleranza e la costruzione della pace; e
  3. Promuovere il dialogo e l’advocacy mirate ai giovani e alle comunità, e finalizzate a contrastare le narrative negative attraverso attività co-curriculari e di comunicazione strategica.

Prima del lancio del progetto, MicroDevelopment Consulting aveva condotto un’indagine tra i destinatari delle attività, in cui il tema più forte emerso era come la mancanza di opportunità per i giovani li metteva a rischio di essere radicalizzati. Gli esempi principali comprendevano la mancanza di centri di formazione professionale e di strutture sportive o ricreative. I risultati dell’indagine avevano anche rivelato un alto grado di negligenza da parte dei genitori, e un tasso elevato di abbandono scolastico nei casi di giovani a rischio di radicalizzazione.

Il progetto Positive Voices è stato quindi pensato per essere integrato all’approccio militare, ovvero quello predominante per contrastare l’estremismo violento. Il risultato auspicato era di arrivare a una maggiore resistenza, da parte dei giovani, ai fattori di attrazione (pull factors) e alle narrazioni negative che li attirano verso l’estremismo violento. Il concetto era basato sulla premessa che trovare, formare e guidare delle persone che potessero agire come modelli di comportamento (i PV), e dare a loro risorse per implementare iniziative a livello comunitario, avrebbe permesso che queste servissero come veri e propri canali per lanciare messaggi positivi e narrative alternative, e per coinvolgere giovani vulnerabili. Il progetto doveva servire come trampolino di lancio per la costruzione della pace e di un’educazione basata su valori positivi. Così pensato, il progetto avrebbe anche contribuito a quello che altri attori stavano già facendo, come l’Ufficio del Consigliere Nazionale per la Sicurezza, che aveva lanciato una serie d’interventi mirati a ridurre i fattori di spinta (push factors) verso l’estremismo violento. Da questo punto di vista, c’era un forte bisogno di introdurre interventi per affrontare i fattori di attrazione, come strategia parallela, e produrre quindi una risposta multidimensionale ai messaggi estremisti.

In totale, il progetto Positive Voices ha implementato 17 iniziative comunitarie, creando una piattaforma per la diffusione di contro-narrative e messaggi positivi. Gli sforzi hanno anche rafforzato la coesione sociale e la resilienza tra i giovani. Attraverso le CEI e la campagna generale di sensibilizzazione delle comunità, il progetto ha raggiunto direttamente un totale di 4.675 persone (62% uomini e 38% donne). Del numero totale, il 36% è compreso nella fascia d’età di 15-19 anni, il 29% nella fascia 20-25 e il 19% nella fascia 26-35.

Diversi studi hanno evidenziato come il progetto abbia iniziato a influenzare la risposta dei giovani ai messaggi di divisione e a rafforzare i loro legami sociali ed etnici. Per esempio, i membri di una comunità in Kano State, nel Nord-Ovest della Nigeria, concordavano sul fatto che un talk show, creato da una delle persone selezionate come modello di comportamento (una delle Positive Voices), era riuscito a risolvere una crisi religiosa scoppiata a livello locale. Il progetto ha anche attirato l’interesse dei media, portando a una maggiore disseminazione e creando visibilità per attività focalizzate su conflitti e parità di genere. Ad aprile 2017, quasi 10 episodi di programmazione intorno al conflitto e al peacebuilding erano stati trasmessi dai partner mediatici del progetto. I partner e i PV hanno anche avuto maggiore accesso a stazioni radio per parlare delle questioni politiche e sociali che alimentano i conflitti.

Nel complesso, il progetto ha generato un cambiamento nel modo in cui i giovani rispondono ai messaggi di estremismo violento. I giovani scelti come modelli di comportamento hanno consentito a individui, gruppi e comunità di essere coinvolti e d’impegnarsi in iniziate di pace, piuttosto che tollerare o perpetuare la violenza. Ci sono stati chiari cambiamenti nell’importanza data alla questione della radicalizzazione della gioventù, e una maggiore consapevolezza dell’impatto che possono avere quei modelli di leadership carismatici ma negativi. Prima del progetto, la maggior parte delle persone non era, infatti, a conoscenza di come i modelli di comportamento potessero contrastare il processo di radicalizzazione dei giovani, ma grazie a quello che il progetto ha fatto nelle varie comunità, leader tradizionali e leader politici adesso hanno compreso meglio l’importanza di questo approccio.

Il progetto Positive Voices ha dimostrato come l’integrazione di modelli di comportamento positivo in interventi di peacebuilding a livello locale e statale possa essere rilevante per contrastare l’estremismo violento e le ideologie radicali, dal momento che, anche se il punto di ingresso è l’esclusione sociale e familiare (percepita o reale), l’attrazione verso la radicalizzazione è fortemente dipendente dal fattore di appeal, o da un legame emotivo. Il principale canale di radicalizzazione è, infatti, attraverso i legami sociali e le interazioni tra coetanei, o i media. L’interazione converge attorno a una figura di culto, o un modello di comportamento, che influenza i giovani seguaci e offre loro narrazioni religiose estremiste. Il punto d’ingresso è la necessità di appartenere a un gruppo di supporto.

In questo contesto, i giovani devono essere visti come una risorsa efficace per ridurre l’indice di vulnerabilità delle comunità fragili, soprattutto quando viene loro fornito il supporto necessario per facilitare l’apprendimento e condurre iniziative co-curriculari. Le attività comunitarie di peacebuilding dovrebbero quindi ruotare attorno alle principali aree d’interesse per i giovani, e i programmi per contrastare l’estremismo violento dovrebbero essere localizzati e usare mezzi di comunicazione indigeni per sensibilizzare e mobilizzare le comunità.

Vivienne Bamgboye è stata responsabile di programma e coordinatrice per la formazione per il progetto Positive Voices. Ora lavora come consulente associato con MicroDevelopment Consulting ad Abuja, in Nigeria.