MANTENERE LA PACE AL CENTRO DELLA UE: UNA SFIDA POLITICA

La promozione della pace rimarrà al centro dell’azione dell’Unione europea? Le discussioni attualmente in corso sul Quadro finanziario pluriannuale 2021-2027 (QFP), il budget di lungo termine dell’UE, indicano che questo potrebbe non essere il caso. La Commissione europea ha infatti recentemente pubblicato la sua attesa proposta per il prossimo QFP. Intitolato Un budget moderno per un’Unione che protegge, potenzia e difende, il documento include dettagli concreti su come la Commissione vuole rispondere alle sfide che l’Europa dovrà affrontare nei prossimi 10 anni, incluse quelle oltre i suoi confini. Nonostante la proposta rappresenti un cambiamento radicale rispetto allo status quo, chi vuole che la pace rimanga una priorità per la UE dovrà essere pronto a lottare (o a rimanere deluso).

La proposta della Commissione include diversi cambiamenti importanti riguardo all’azione esterna della UE, e al peacebuilding in particolare. Dal lato positivo, essa propone di aumentare i fondi totali del QFP, incrementare la flessibilità nel rispondere alle crisi, e mantenere un capitolo specifico per finanziare l’azione esterna europea (Capitolo VI: Il vicinato e il mondo). I fondi per questo capitolo verrebbero poi anch’essi aumentati rispetto ai livelli del QFP attuale (del 13%). Sul lato negativo, la Commissione propone di creare due nuovi capitoli (Capitolo IV: Migrazione e Controllo delle Frontiere, e Capitolo V: Sicurezza e Difesa), ognuno con fondi superiori a quelli previsti per il Capitolo VI. La Commissione vorrebbe anche creare un unico strumento finanziario, che andrebbe a sostituire tutti quelli ora esistenti. Questo nuovo strumento, chiamato “Strumento per il Vicinato, lo Sviluppo e la Cooperazione Internazionale” (Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument, o NDICI), opererebbe per aree geografiche e tematiche, inclusa una su stabilità e pace. Sarebbe anche accompagnato dalla creazione di un “Strumento Europeo per la Pace” (European Peace Facility), uno strumento fuori dal QFP per sostenere attività di sicurezza e difesa in paesi terzi, incluse le missioni relative alla politica di sicurezza e di difesa comune.

L’architettura proposta per il nuovo QFP andrebbe quindi a cambiare radicalmente il modo in cui vengono messi a disposizione i fondi per sostenere il peacebuilding. La proposta della Commissione intende sì aumentare i fondi per l’azione esterna e migliorare la coerenza, anche andando a integrare il Fondo Europeo per lo Sviluppo all’interno del nuovo Quadro. Tuttavia, strumenti essenziali per come la UE risponde alle crisi e ai conflitti, in particolare lo Strumento per contribuire alla Stabilità e alla Pace, scomparirebbero praticamente da un giorno all’altro, sostituito da un impegno operativo ancora tutto da definire.

La proposta mostra in modo evidente che l’interesse principale della Commissione è aumentare la flessibilitàriguardo a come i fondi sotto il Capitolo VI possono essere usati, e non solo tra aree geografiche e tematiche. Nella proposta di legge per la creazione del nuovo strumento unico, l’enfasi è chiaramente sulle risposte di breve termine piuttosto che sulla collaborazione di lungo termine, con i finanziamenti previsti per “azioni di risposta rapida” (che nella proposta vengono presentati come una categoria di attività separata da quelle geografiche e tematiche) quattro volte maggiori rispetto ai fondi previsti per l’area “Stabilità e Pace”. Questo cambiamento modificherebbe radicalmente la natura e i principi degli strumenti ora esistenti, incluso lo Strumento per la Cooperazione allo Sviluppo e lo Strumento per la Democrazia e i Diritti Umani.

Non è dunque una sorpresa come le ONG che lavorano sul peacebuilding e sullo sviluppo si siano espresse in modo critico riguardo alla proposta della Commissione. La reazione generale è stata positiva riguardo alla creazione del Capitolo VI e all’aumento dei finanziamenti per l’azione esterna, ma molto negativa per quanto riguarda l’eliminazione degli strumenti esistenti. Come hanno scritto le quattro maggiori reti europee di ONG (CONCORD, l’European Peacebuilding Liaison Office, la Human Rights and Democracy Network e VOICE) in una lettera pubblicata in occasione della riunione di giugno del Consiglio europeo: “le nostre reti sono convinte che la separazione degli strumenti per lo sviluppo, per l’assistenza umanitaria, per i diritti umani e la democrazia, e per il peacebuilding, come nell’attuale QFP, abbia permesso alla UE di fare la differenza in queste aree”.

Il coro di voci contro lo strumento unico è stato effettivamente forte e giustificato, visto il cambiamento che rappresenterebbe e la posta in gioco (ovvero i fondi). Detto questo, il livello di attenzione che le ONG hanno finora dato alla proposta per il nuovo strumento unico è potenzialmente fuorviante. Laddove la sua creazione rappresenta per lo più una questione tecnica, la proposta per il nuovo QFP include dei cambiamenti che sono di natura politica e hanno, come tali, il potenziale di alterare la natura stessa della UE: con la sua proposta, la Commissione non sta, infatti, solamente suggerendo che l’Unione dovrebbe avere più fondi e maggiore flessibilità su come usarli, ma anche che essa dovrebbe perseguire obiettivi di politica estera più tradizionali: sicurezza, difesa e controllo dei confini piuttosto che la pace attraverso mezzi civili.

Quando la UE ricevette il Premio Nobel per la Pace, nel 2012, il comitato di selezione indicò come il risultato più importante ottenuto dall’Unione “il successo nella lotta per la pace e la riconciliazione e per la democrazia e i diritti umani. Il ruolo stabilizzante della UE ha contribuito a trasformare la maggior parte dell’Europa da un continente di guerra in un continente di pace”. Con la proposta per il nuovo QFP a portata di tutti, vale la pena chiedere se la Commissione europea (e il Consiglio e il Parlamento) continui a credere veramente che la pace, così come la democrazia, i diritti umani e lo sviluppo sostenibile, debbano rimanere al centro dell’Unione. E se questo non fosse il caso, allora le ONG e con loro tutti coloro interessati dovrebbero impegnarsi a mandare un segnale forte e unito riguardo alla visione politica dietro al QFP, prima ancora di lavorare su questioni puramente tecniche come lo strumento unico.